Castellalto sorge su uno sperone di roccia sulle pendici meridionali del monte Musiera, a nord dell’abitato di Telve, a 818 m di quota. Il castello è proprietà dei baroni Buffa di Castellalto che nel 2011, l’hanno ceduto in comodato per 31 anni al Comune di Telve.
Castellalto è classificato come un castello di altura in zona montana, sorge tra due profonde incisioni torrentizie che formano le vallette di San Nicolò, a ovest, e di Nana o Arnana, a est. Il mastio sorge sul culmine del rilievo, concentrico rispetto all’impianto castellare. La base geologica dell’a struttura è costituita da un relitto di terrazzo morenico con formazioni scistose affioranti a contatto con il granito costituito da massi di frana. I materiali usati per la costruzione del castello sono: granito con filladi, pietra calcarea e anche oolitica usata per alcuni elementi architettonici. Le coperture dei tetti erano costituite da scandole.
Dal castello si gode un’ampia vista panoramica oltre che sulla Valsugana centrale anche su Castel Ivano e sui dossi castellani di Peníle, Castelàre, Arnana e Castelnuovo. Il castello vero e proprio ha una superficie di circa 1060 mq e di 2450 mq circa, se si comprendono le tracce di mura esterne a sud, verso le valli di Arnana e di San Nicolò. Secondo la pianta proposta da Piper nel 1902, l’area interna sarebbe invece di circa 1700 mq. Il mastio ha una pianta quadrangolare di m 7×7; lo spessore dei muri alla base è di circa 2 metri.
La prima fonte certa che attesta la presenza di un insediamento stabile a Telve risale al 1160: in un documento redatto il 12 maggio di quell’anno è nominato infatti un certo Wala dominus de Telvo, capostipite della famiglia dei Telve. Essi diedero l’avvio, probabilmente verso la fine del XII o agli inizi del XIII secolo, alla costruzione delle prime parti murarie del castello di Castellalto, di cui possedevano i diritti feudali assieme a quelli di Castel Arnana e di Castel San Pietro.
Sul finire del XIII secolo Telve era un centro vitale dotato di chiesa e di castello e nel 1296 possedeva una Carta di Regola. Col passare degli anni la famiglia dei Telve si era moltiplicata e divisa in tre rami feudali, ognuno dei quali occupava un proprio castello: Arnana, S.Pietro e Castellalto. Ciascun castello possedeva il diritto di giurisdizione civile sulla villa di Telve alternativamente per un anno. La linea di castel Arnana si estinse verso il 1310 e ciò comportò l’abbandono del castello mentre quella di castel San Pietro si estinse una ventina d’anni dopo ed il castello venne distrutto nel 1385 dall’esercito di Antonio della Scala. La dinastia dei Telve facenti capo a Castellalto fu la più duratura. I suoi componenti si stabilirono nel castello di Castellalto e, non si sa con certezza quando, mutarono il loro nome orginario con quello di domini de Castro Alto. Nel XIV secolo, i Castellalto furono oltre che spettatori anche protagonisti dei turbinosi avvenimenti che si susseguirono nella Valsugana feltrina e che si conclusero nel 1413 con la conquista del potere da parte dei Duchi d’Austria e Conti del Tirolo. I Castellalto non si opposero neppure alla dominazione dei Della Scala (1321-1337) e fecero addirittura dipingere sulla torre del loro castello l’arma scaligera, emblema del casato veronese.
Quando, nel 1413, Federico IV Duca d’Austria e Conte del Tirolo invase la valle conquistandone i castelli, divenne signore della Valsugana feltrina; i Castellalto furono perciò costretti a cambiar partito ed iniziarono ad intraprendere una politica improntata sempre più al raggiungimento di appoggi e favori presso la Casa d’Austria; questo li portò progressivamente a gravitare nell’area politica tirolese. Nel 1453 viene nominato capitano ducale a Castel Ivano Francesco III di Castellalto, il quale nel 1479 sarà anche luogotenente a Castel Telvana l susseguirsi di scontri, devastazioni, stragi e soprattutto l’uso tirannico dei potere operato dai giusdicenti dei castelli nei confronti della popolazione locale, avevano portato quest’ultima, sulla scia di notizie che giungevano d’oltralpe, a manifestare il proprio dissenso sotto forma di rivolta. La cosiddetta Guerra Rustica fece delle vittime notevoli anche in Valsugana. Fu in questo frangente che si distinse la figura di Francesco IV di Castellalto, brillante e valoroso uomo d’arme nonché uomo di cultura e fine diplomatico. Chiamato da Bernando Clesio a reprimere la rivolta in atto, liberò energicamente la città di Trento dagli assalitori ed in seguito si recò nelle valli limitrofe a punire i contadini ribelli. In questa missione diede prova di moderazione e buon cuore: come dice il Suster “egli ben di rado sedeva al banco della giustizia e il più delle volte anzi influiva per levare accuse sospette e mitigare carceri e pene come si può intravedere dagli atti dei processi e sopra tutto dalla buona memoria da lui lasciata specialmente in Valsugana”.
Nel Terzo decennio del Cinquecento, Francesco di Castellalto, allora capitano a Trento, al pari dei grandi signori del suo tempo, pensò di trasformare l’avito arcigno maniero in una residenza signorile degna di questo nome, rimaneggiando il vecchio castello e aggiungendovi tutta una parte nuova a sud-ovest, chiamata per l’appunto il “Castelnuovo”o “Palazzo Nuovo”. Una prima fase dei lavori si conclude nel 1527 e una seconda nel 1556, stando alle due date ritrovate all’interno di Castellalto. La prima data è riportata sullo scudo con lo stemma di famiglia, originariamente collocato all’interno delle mura sopra il nuovo ingresso cinquecentesco e da tempo trasportato nel Palazzo Buffa di Telve. La seconda data invece è incisa sull’arco del portalino settentrionale del mastio.
Francesco IV di Castellalto si spense a Trento nel 1554. Secondo il suo volere, venne sepolto nella chiesa di Telve dietro una lastra mortuaria rinascimentale che si era fatto appositamente costruire quando era ancora in vita; essendo privo di eredi maschi con la sua morte si estinse anche il casato dei Signori di Castellalto, che dal XIV secolo avevano dimorato nell’omonimo castello e da lì avevano retto, nel bene e nel male, le sorti di Telve e dei paesi vicini.
Per espressa volontà testamentaria il feudo e la giurisdizione di Castellalto (beni allodiali e feudali) passarono in proprietà ai figli maschi delle tre sorelle sposate, rispettivamente: Beatrice con il conte Nicolò Lodron di Castel Noarna presso Nogaredo; Barbara con il nobile Hans von Greifensee e Dorotea con il Cavalier Barone Nicolò di Trautmannsdorf. Nel 1559, i Greifensee e, nel 1562, i conti di Lodron vennero ad una transazione e rinunciarono ai loro diritti a favore dei Trautmannsdorf della Torre Franca di Mattarello
Nel 1635 i Trautmannsdorf vendettero Castellalto all’Arciduchessa Claudia de Medici, contessa del Tirolo, che venne investita della giurisdizione di Castellalto dal Vescovo di Feltre. Ella nominò come suo capitano e consigliere Armenio Buffa e nel 1652 il figlio Ferdinando Carlo diede in pegno il castello ai fratelli Zambelli di Bassano con la riserva però che esso potesse essere recuperato dai Buffa al momento in cui questi avessero avuto la disponibilità economica per farlo. Dopo una serie di dispute legali, nel 1671 quando Antonio Buffa sposò una Zambelli, con l’atto matrimoniale ricevette in dote anche la giurisdizione di Castellalto che ancora oggi è di proprietà dei baroni Buffa. Da allora e fino al 1825, i Buffa esercitarono la giurisdizione di Castellalto ogni tre anni alternativamente con San Pietro e Telvana. Dopo tale rinuncia, Telve, con gli altri comuni vicini, venne a far parte dell’Imperial Regio Capitanato Distrettuale di Borgo, retto da un Capitano, il quale a sua volta dipendeva dal Luogotenente che governava in nome dell’imperatore e risiedeva a Innsbruck.
Dopo il 1759 inizia per l’antico maniero un lento, ma inesorabile tramonto. Persa da tempo la sua importanza strategica e militare e trasferito il giudizio nel Palazzo di Telve, Castellalto finì piano piano per essere abbandonato, dapprima dai signori Buffa, poi dai funzionari e infine anche dai lavoratori, dai servi e da tutto quel personale che tradizionalmente gravitava sul castello. Ancora dopo le guerre napoleoniche a Castellalto vi abitava il guardiaboschi con la sua famiglia. Il rapido declino del castello, iniziato dal lato a settentrione, si diffuse rapidamente a tutto l’organismo dopo l’abbandono dei proprietari e la scoperchiatura degli edifici avvenuta nei primi decenni dell’Ottocento, favorita da una legge austriaca che esentava dalle tasse gli immobili privi di tetto.
Nel 1852 Agostino Perini scriveva che il castello conservava ancora le sue muraglie. Una rovina ancora riconoscibile nelle sue articolazioni e strutture e sostanzialmente recuperabile è descritta e disegnata da Otto Piper nel 1902. Durante la Prima guerra mondiale, Castellalto fu teatro di scontri e cannoneggiamenti delle opposte artiglierie, italiane e austriache, con ulteriori danni alle sue precarie condizioni.
Negli anni Cinquanta del Novecento il Castello, pur ridotto a rovine, conservava ancora qualche traccia della sua originale fisionomia. L’affresco della cappella era ancora parzialmente leggibile, il portale rinascimentale, di cui parlava il Suster, era in piedi per metà, l’arco gotico del portalino di Castelvecchio non era così rovinato, qua e là sul terreno si trovavano pietre lavorate come conci di archi, piedritti, mensole e altro ancora.
Nel 1992 Remo Carli e Alfonso Scartezzini dopo una serie di sopralluoghi al castello ne redassero un’accurata descrizione completa di disegni, rilievi e mappature pubblicata poi nel 2003 per l’Associazione Castelli del Trentino. L’interessante lavoro ci permette di fare un confronto diretto con quello di Otto Piper di un secolo prima e constatare come sia andata quasi irrimediabilmente perduta una delle testimonianze storiche, culturali e artistiche più importanti non solo della Valsugana, ma anche del Trentino. Fino alla fine del 2011 era impossibile addentrarsi tra i ruderi del castello per l’invasione della vegetazione spontanea che, abbarbicandosi in ogni dove, lo soffocava impedendo di fatto una lettura ragionata delle sue strutture e rendendo estremamente pericolosa la visita. Negli anni ‘90 il castello è stato riconosciuto come bene architettonico e inserito nel patrimonio monumentale del Trentino con delibera del Consiglio Provinciale.
L’Amministrazione Comunale di Telve, dopo la stipula del comodato con i proprietari di Castellalto, avvenuta in data 6 settembre 2011, ha avviato un progetto di disboscamento, messa in sicurezza e recupero delle rovine per poterle debitamente valorizzare e rendere accessibile e visitabile quanto rimane del castello. Il progetto, è stato affidato all’architetto Giorgia Gentilini e ha visto per un primo lotto di lavori il consolidamento della parte più recente del maniero, ossia l’ampliamento voluto nella prima metà del XVI secolo da Francesco di Castellalto e in un secondo lotto il recupero del passo carraio dalla corte aperta alla corte nuova. I lavori dovrebbero concludersi con il recupero di alcuni ambienti del Castelvecchio e con la messa in sicurezza del mastio.
Il 1160 segna l’inizio delle vicende conosciute dei Telve. Le carte scritte raccontano che gli esponenti del gruppo signorile presenziavano agli incontri della curia dei vassalli e ricoprivano incarichi prestigiosi in seno all’aristocrazia trentina del tempo, fungendo anche da arbitri in alcune liti nobiliari. I primi signori di Telve conosciuti sono Wala e Aldepreto, che nel 1160 compaiono tra i componenti della curia dei vassalli di Trento all’atto di concessione della custodia del castello di Belvedere di Pinè a Gandolfino di Fornace.
Tra tutti, emerge la figura di Ottolino (ricordato nelle fonti tra 1183 e 1233 circa), che in tarda età detenne anche il canonicato. Titolare di beni situati a macchia di leopardo a Roncegno, Pinè, Trento e Caldaro, è identificato come il probabile costruttore di Castellalto tra fine XII e inizio XIII secolo. Nel corso degli anni l’autorizzazione concessa dai vescovi a costruire castelli contribuì a rafforzare il potere dei signori di Telve su un’ampia area della Bassa Valsugana, estesa tra Roncegno, Castelnuovo e Scurelle. La possibilità di controllare il territorio e le principali vie di comunicazione, la disponibilità di un patrimonio fondiario di tutto rispetto e l’esercizio di diritti di vario tipo furono solo alcuni degli elementi in cui questo potere si declinava.
La terza generazione dei signori di Telve è rappresentata da Giordano, Enrico, Oluradino e Guglielmo, figli di Ottolino. In particolare Oluradino (ricordato tra 1224 e 1254) gestì un’attività patrimoniale piuttosto vivace a Telve e dintorni, Samone e Castello Tesino.
Con la quarta generazione, cioè gli eredi di Oluradino, Alberto (1243-1272) e Guglielmo (1265-1288), si staccò il ramo dei Castellalto. I figli di Alberto, Vecello (1264-1309) e Ottolino (1264-1267) e relativa discendenza detennero la titolarità del castello di Arnana e delle rocche di San Pietro e Savaro.
D’altra parte, Guglielmo (1265-1288) e il figlio Francesco (1289-1321) invece contribuirono significativamente a rafforzare l’identità del ramo dei Castellalto, utilizzando in modo prevalente la nuova denominazione ed eleggendo la propria sede di rappresentanza nel castello omonimo. Questi siti fortificati erano utilizzati come luoghi di controllo delle terre circostanti, in particolare quelle dei possedimenti familiari, come uffici per la stipulare contratti di vendita e di affitto e come magazzino per le derrate alimentari.
I Telve-Castellalto non solo erano titolari di siti fortificati e possedimenti fondiari, ma esercitavano anche un certo potere di controllo sulle comunità locale. Per esempio nel 1291 Vecello e il figlio Bartolomeo (1269-1318?) svolgevano il ruolo di potestas di Telve e nel 1296 circa ebbero la facoltà di confermare la carta di regola di Telve, Carzano e Torcegno.
A più riprese nel corso del Trecento i Castellalto strinsero alleanze matrimoniali con i Caldonazzo- Castelnuovo, che in quel tempo andavano affermando il loro potere nella zona della Bassa Valsugana. Nel 1305 e nel 1311 Francesco di Castellalto diede in sposa le figlie Mabilia e Guglielma a Biagio e Ambrogio di Castelnuovo, portando in dote, nel caso di Mabilia, 500 lire e due grandi aziende agrarie a Samone. Il figlio Guglielmo invece sposò Odorica, sorella del già citato Biagio.
Se le tracce dell’antico ramo dei Telve praticamente scompaiono dalla documentazione storica, sappiamo che i Castellalto continuarono a prendersi cura dei loro interessi politici. Intrecciarono buoni rapporti con i da Carrara, che nella seconda metà del Trecento occuparono il Feltrino. Sembra che Francesco da Carrara sia stato ospite a Castellalto assieme ai suoi capitani. Non solo: Marcabruno e Guglielmo di Castellalto fornirono al figlio di Francesco, Francesco Novello, uomini e armi nella guerra contro Giangaleazzo Visconti.
All’inizio del Quattrocento Marcabruno si trasferì a Padova, dove sposò Margherita di Colbrusato di Conegliano. Spostò qui i propri interessi, tanto che nel 1405 acquistò da Francesco Novello un grande complesso di case e terreni a Pontecasale.
Le giurisdizioni della Valsugana vennero assoggettate al dominio austriaco dal duca Federico IV d’Asburgo nella sua faida contro i Caldonazzo-Castelnuovo, alleati dei Veneziani e dal 1412 furono annesse alla contea del Tirolo. Nel 1413 i castelli di Telvana, Tesobbo e San Pietro furono dati in feudo dal vescovo di Feltre al duca, a cui spettava anche la giurisdizione di Castellalto, seppur in comune con il gruppo nobiliare di Telve.
I Castellalto si schierarono dalla parte del sovrano tirolese, tanto che nel 1453 Francesco era vicecapitano d’Ivano e nel 1479 luogotenente di Giacomo Trapp a Telvana.
I Castellalto rimasero titolari della fortificazione omonima fino alla metà del Cinquecento, quando Francesco IV(1480-1554) morì senza eredi, lasciando i propri averi ai figli delle sorelle Beatrice, Barbara e Dorotea, sposate rispettivamente con membri dei casati Lodron, Grafensee e Trautmannsdorf.
Con Francesco si estingueva così la nobile e potente famiglia dei Telve-Castellalto.
Ultimo rampollo dell’antica famiglia dei Castellalto, Francesco nacque a Castellalto verso il 1480 da Francesco III e Gertrude Anich de Courtäsch (Cortaccia), forse figlia di Giovanni Anich, capitano di Telvana e figlio di Leonardo Anich che fu pure capitano di Telvana e morì a Borgo Valsugana nel 1469. Per conto degli Asburgo il padre di Francesco fu vicecapitano ducale di Ivano e luogotenente a Telvana dove probabilmente conobbe Gertrude Anich.Il giovane Francesco fu educato alla fedeltà verso gli Asburgo e ancora giovinetto fu inviato come paggio alla corte di Massimiliano. Destinato dalla sua condizione sociale e dalla tradizione familiare alla carriera delle armi, servì per tutta la vita gli Asburgo con vari gradi militari.
Intorno al 1507, morto il padre Francesco III, la madre Gertrude venne investita come tutrice testamentaria dei figli dal vescovo di Feltre Antonio Pizzamano (1504 – 1512). Non sappiamo se nel frangente il giovane Francesco sia ritornato o meno all’avito castello di Telve per raccogliere l’eredità paterna.
Nel 1509 nel corso della guerra della lega di Cambrai, egli figura fra i condottieri dell’esercito imperiale. Come capitano addetto alle artiglierie ricompare nel 1512 tra gli Imperiali comandati da Wilhelm von Regendorf che dovevano congiungersi a Brescia con gli Spagnoli. Il Castellalto, spostatosi a Verona nel gennaio del 1513, se ne allontanò solo per brevi viaggi a Trento e a Milano. Nel corso di quell’anno guidò le sue truppe in ardite scorribande in territorio veneziano. Per queste imprese il Castellalto venne promosso al grado di colonnello rimanendo a presidiare la città di Verona ancora per tre anni e resistendo dall’agosto del 1515 a un formidabile quanto sterile assedio da parte delle truppe franco-venete. Dopo la conclusione del trattato di Noyon (13 agosto 1516), che pose fine alle ostilità, Verona dovette essere restituita ai Veneziani. Al Castellalto, che l’aveva validamente difesa, toccò il compito di smobilitare e consegnare la città ai Veneziani. Lasciò Verona nel gennaio del 1517 e rientrò nel Trentino, restando al servizio dell’imperatore e, in seguito, anche del Vescovo Principe Bernardo Clesio. Alla morte dell’Imperatore Massimiliano I fu tra i dignitari imperiali che presenziarono alle cerimonie funebri. Nel marzo dello stesso anno fu inviato dai reggenti del Tirolo in Spagna, alla corte di Carlo, il futuro Imperatore Carlo V, nuovo re dei Romani, per chiedere sgravi fiscali, conferma delle autonomie locali e una visita personale del sovrano nella regione. Ricevuto dal re a Barcellona nel mese di maggio, fu trattenuto a corte fino al marzo del 1520 trattando con successo l’esaudimento delle richieste tirolesi e facendosi anche notare dal giovane re per le sue eccellenti qualità militari.
Risale al 1520 lo stemma di Castellalto dipinto all’interno di Porta Aquila a Trento, a sinistra di quello di Bernardo Clesio e contrapposto a quello di Giorgio Firmian, capitano di Trento, segno che Francesco aveva acquisito un ruolo di rilievo nel Principato vescovile tridentino. Nel 1522, lo troviamo a Milano in soccorso degli Spagnoli, battendo clamorosamente i Francesi nei pressi della Bicocca.
Il 16 maggio 1525 fu nominato luogotenente generale del principato vescovile tridentino dal Vescovo Principe Bernardo Clesio, con il beneplacito dei consoli della città di Trento. Durante la Guerra Rustica ebbe un ruolo determinante non solo nel reprimere gli insorti, ma anche nel moderare le atrocità da una e dall’altra parte dando prova di coraggio e fermezza ma anche di moderazione, senso della giustizia e buon cuore. Per la sua rettitudine e fedeltà al potere costituito, la reggenza di Innsbruck il 7 agosto 1527 lo nominò giudice di Gries e di Bolzano, nonché commissario a Riva, Arco, Tenno e nelle valli di Non e di Sole assieme a Giambattista Villas.
Il 16 settembre l’arciduca Ferdinando e Bernardo Clesio lo mandarono, in compagnia del conte Gerardo d’Arco e con 1000 fanti, a punire gli uccisori del conte Pietro di Nomi e a rimettere nei loro possedimenti i figli dell’ucciso. Subito dopo il suo ritorno a Trento, fu chiamato in Valsugana con gli altri commissari, Gerardo d’Arco, Ludovico Lodron, Carlo Trapp e Francesco Braysacher a reprimere la sollevazione contadina e in particolare a dar la caccia agli uccisori di Giorgio Puhler e bandire sentenze e castighi contro gli insorti: a Telve sui prati del torrente Ceggio contro quelli del Pievado di Strigno, a Levico contro quelli dell’Alta Valsugana.
Il Suster ipotizza che il Castellalto sia uscito duramente provato da questa esperienza per la piega sempre più grave e sanguinosa che avevano preso gli avvenimenti e, forse, per la parte veramente penosa che gli toccava fare di repressore contro tanti poveri illusi suoi compaesani, tanto che ci fu un momento in cui era sul punto di dimettersi da commissario.
Tra la fine del 1525 e il 1527 fu impegnato a Trento come giudice accanto al dottor Andrea Regio, principale inquisitore, al conte Gerardo d’Arco, a Cristoforo Thun, capitano di Trento e altri ancora, nei processi contro i contadini ribelli della Guerra Rustica, distinguendosi per la sua riluttanza verso le torture e le pene più severe e per l’impegno a smontare accuse sospette e mitigare le carcerazioni, tanto che in Valsugana è rimasta una buona memoria del Castellalto.
Per i suoi leali servigi alla Casa d’Austria e al Principato Vescovile di Trento, l’arciduca Ferdinando, re dei Romani, lo nominò, prima, regio Capitano di Trento e, poi, Colonello generale della Contea del Tirolo e Consigliere Cesareo. Tra il 1527 e il 1529 troviamo il Castellalto impegnato a reclutare lanzi per Ferdinando re dei Romani da inviare in Ungheria contro la minaccia turca o in Italia dove i Veneziani si erano coalizzati di nuovo con i Francesi contro gli Imperiali.
Proprio in questi anni, nel 1527, memore delle sue campagne militari e della guerra rustica in particolare, pensò di restaurare, fortificare e ampliare l’avito castello di Telve.
Risale forse al terzo decennio del Cinquecento il matrimonio con Margherita Fuchs, morta prematuramente l’11 aprile 1540 senza avergli dato discendenza legittima. Anche dal secondo matrimonio con la contessa Elisabetta Thun non ebbe prole legittima, mentre è risaputo che ebbe almeno tre figli naturali, chiamati per convenzione dell’epoca, non Castellalto, ma Casteller.
Nel 1536 Francesco ricevette a Trento Ferdinando, re dei Romani, e la moglie Anna d’Ungheria; tre anni dopo, nel 1539, compì un’importante missione diplomatica a Venezia per conto dei reggenti del Tirolo e nel 1542 fu impegnato a prestare ancora una volta aiuto al re Ferdinando nella guerra contro i Turchi in Ungheria. Come Colonello generale della Contea del Tirolo il Castellalto ebbe certamente un ruolo importante nella gestione del Covolo di Butistone, enclave asburgica nel territorio della Serenissima; troviamo infatti il suo stemma, con la data 1549, dipinto a grandi dimensioni sulla merlatura della fortezza.
Un altro stemma di Castellalto si trova, dipinto ad affresco, a Castel Mareccio alla periferia di Bolzano. Come capitano della città e rappresentante di Ferdinando re dei Romani, Francesco di Castellalto presenziò tra la fine del 1545 e il 1546 a varie sedute del Concilio di Trento tenute nel corso della prima sessione, avendo un ruolo di un certo rilievo solo all’inizio, quando fu nominato dal sovrano ambasciatore al Concilio insieme con il giurista Antonio Quetta.
Nel luglio del 1546, a 66 anni di età, Francesco di Castellalto non esitò a riprendere le armi per difendere l’incolumità dei padri conciliari contro la minaccia dei protestanti smalcaldici. Fece ritorno da trionfatore a Trento ricevendo lodi e acclamazioni da tutto il paese e in particolare dai padri conciliari che però, temendo di essere sorpresi a Trento dai Protestanti, avevano già dal marzo dello stesso anno spostato le loro sessioni a Bologna.
Negli anni che seguirono Francesco non ebbe più alcuna parte nella vita del concilio, pur continuando a garantirne la sicurezza nella sua qualità di massima autorità militare della città ospite. Qualche anno prima di morire, sentendosi vecchio, si fece costruire nella chiesa parrocchiale di Telve un proprio monumento funebre dettando personalmente l’epigrafe in tedesco e lasciando in sospeso la data di morte. Conosceva molto bene sia l’Italiano che il Tedesco che parlava e scriveva correttamente e correntemente come dimostra ad esempio la sua corrispondenza con il duca di Mantova, scritta in italiano, o l’epigrafe sepolcrale di Telve.
Passò gli ultimi anni di vita ritirato nella tranquillità della sua casa di Trento, in via Santa Trinità, ricevendo amici e conoscenti, largheggiando con tutti in consigli, amorevolezze e carità e facendosi amare da ogni classe sociale e in special modo dai suoi Valsuganotti che non mancavano mai di fargli visita.
Francesco di Castellalto, morì a Trento nella sua casa il 29 novembre 1554; secondo altri storici, sarebbe invece morto nel 1555. Delle due date la più credibile sembrerebbe la prima. La salma del Castellalto, dopo esservi stata onorata da splendidi funerali, fu trasferita a Telve e inumata nel monumento funebre di famiglia che ancora in vita si era fatto erigere nella chiesa parrocchiale.
Il castello di San Pietro
Situato tra Torcegno e Telve di Sopra il colle di San Pietro conserva ancora i ruderi del castello omonimo. La prima attestazione scritta risale al 1285, quando tale domina Montanara riconsegnò a Riprandino di Telve un terreno posto a septentrione de Castropetro.
I potenti signori di Telve furono titolari della fortificazione fino al 1331, quando Ottolino la vendette per 3680 lire a Siccone, Rambaldo, Antonio, Geremia e Biagio di Caldonazzo-Castelnuovo, assieme al castello di Savaro, al dosso chiamato Castellere presso la chiesa dei Santi Donato e Giorgio, a beni immobili e diritti situati in Valsugana a est del torrente Silla.
Vuole la tradizione storiografica che la rocca sia stato distrutta nel 1385 dall’esercito di Antonio della Scala, ma la notizia non è verificabile. Il 2 agosto 1413 il vescovo di Feltre-Belluno Enrico de Scarampis concesse al duca d’Austria i castelli e le giurisdizioni di Tesobbo, San Pietro e Telvana. Dopo una serie di passaggi di proprietà, alla metà del Seicento la fortificazione fu affidata assieme a Castellalto ad Antonio Buffa.
La struttura
Si conservano pochi resti del complesso architettonico medievale, databili al Duecento. A nord è posto un tratto del muro di cinta, a cui si appoggiavano delle altre strutture. Costruito con la tecnica del riempimento a sacco, la cortina esterna presenta elementi calcarei spaccati, disposti in corsi sub-orizzontali, che, in corrispondenza degli angolari, sono sbozzati e squadrati. Il tratto murario a sud invece appartiene alla torre centrale o mastio (dimensioni: 6,10×6,10), dotata di feritoie centrali. Nei pressi si trova la cisterna a pianta quadrangolare, costruita in pietrame e mattoni e in origine chiusa da una volta mattoni posti a coltello, ora quasi completamente crollata.
Il castello di Arnana
Il castello di Arnana si trova a N dell’abitato di Telve, su un rilievo nei pressi della Val Savaro. Ricordato per la prima volta in un documento del 1284 (in Valsugana apud castrum Arnane), compare anche nell’atto con cui nel 1289 Vecello di Telve, signore del castello, vendette alla comunità di Pieve Tesino il monte Vacia, situato al confine con i monti Copolà, Valsorda, Lagorai e Socede. La fortificazione si trovava all’interno dell’area di radicamento patrimoniale dei Telve-Castellalto, titolari tra Duecento e Trecento anche delle rocche di Castellalto, San Pietro, Savaro e forse Telvana.
La struttura
I ruderi presenti appartengono a due diversi edifici. La torre a pianta quadrangolare (lato esterno: 7,8 m circa; superficie interna: 25 mq circa) conserva parzialmente gli alzati, in alcuni punti fino a un’altezza di 4 m. I perimetrali sono costituiti da ciottoli con dimensioni medie di circa 20-30 cm, disposti lungo corsi sub-orizzontali. La seconda struttura, a cui sono pertinenti due tratti murari di difficile lettura, è stata interpretata come ambiente secondario.
Il castello di Savaro
Il castello si trovava in territorio comunale di Borgo Valsugana, sulla sommità di un’altura poco a nord di Maso Savaro. La prima attestazione risale al 1286, quando, in dosso castri Savari, venne stipulato l’atto con cui Guglielmo di Telve affidò la gestione del mansum di Salla a Ronchi ad Adeleta e ai suoi figli Odorico e Bertoldo.
Nel 1309 Guglielmo e il figlio Cristoforo sono ricordati come proprietari della fortificazione, che rimase nella titolarità dei signori di Telve fino al 1331; in quell’anno infatti il dosso in quo erat edificatum et constructum … castrum nomine Savarum venne venduto ai Caldonazzo-Castelnuovo assieme al castello di San Pietro, al dosso di Castellere, a beni e diritti situati in varie parti della Valsugana.
Sulla sommità del colle si conserva solamente un tratto murario pertinente alla fortificazione. In prossimità, durante dei sondaggi archeologici nel 1981, vennero recuperati frammenti di ceramica pettinata (scodelloni, vasi e tazze troncoconiche …) e oggetti in ferro (cuspidi di freccia e di balestra, coltellino, chiodi, …), databili alla piena età medievale.
Come si presentava il territorio della Bassa Valsugana in età medievale? Il centro demico più importante era Borgo Valsugana, conosciuto fin dalla tarda età romana come punto di sosta lungo la strada Oderzo-Trento. Sede pievana in età medievale, vedeva anche la presenza di gastaldi del vescovo di Feltre.
Altrettanto significativo per la storia dei Telve-Castellalto è l’abitato di Telve, ricordato dalle fonti a partire dal 1160. Caratterizzavano questo piccolo ma vivace villaggio i tre edifici sacri dedicati a San Michele, Santa Maria e Santa Giustina, abitazioni in pietra e legno circondate da cortili e orti e varie attività commerciali e produttive. A pochi km di distanza si trovava anche l’insediamento satellite di Carzano, il cui sviluppo va collegato alla messa a coltura del territorio tra XII e XIII secolo.
L’intervento del gruppo signorile locale è da riconoscere anche nell’impulso dato al popolamento di Telve di Sopra, attraverso la concessione in affitto di masi ed edifici, particolarmente evidente negli anni Ottanta del Duecento. I terreni circostanti, ripidi e poco adatti alle colture, dovevano essere terrazzati. Il disboscamento e il dissodamento del terreno, la costruzione dei muri a secco, gli scavi e i riporti di terra per riempire gli spazi vuoti e renderli pianeggianti richiedevano tempo e forza lavoro.
I lavori erano eseguiti da boscaioli e contadini che abitavano aziende agrarie e masi sparsi su tutto il territorio, ma più diffusamente a Torcegno e Ronchi. Furono ancora una volta i Telve i promotori della colonizzazione di Ronchi, forse con una prima attività di bonifica compiuta entro la metà del XIII secolo.
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CONSOLIDAMENTO STATICO, RESTAURO E CONSERVAZIONE DEI RUDERI DEL SETTORE RELATIVO AL CASTELLO NUOVO.
I lavori (18 novembre 2013 – 3 settembre 2015) hanno interessato il Lotto funzionale del progetto per il Consolidamento statico, il restauro e la conservazione dei ruderi murari del Castello di Castellalto a Telve che ha riguardato il Palazzo Nuovo situato nella parte sud del complesso. I lavori sono stati finanziati con il contributo di euro 230.034,00 pari all’80% della spesa ammessa di euro 287.542,94 concesso al Comune di Telve con determinazione del Dirigente dalla Soprintendenza per i Beni architettonici n. 619 dd. 10.09.2012 (L. P. 17 febbraio 2003 n. 1).
I lavori sono iniziati con la rimozione del materiale di crollo nell’area a monte della struttura voltata (Corte Nuova): durante queste operazioni sono stati raccolti diversi reperti archeologici ed stato intercettato e messo in luce un piano pavimentale in acciottolato che stato pulito e documentato. Contemporaneamente si sono eseguite le operazioni di rimozione della vegetazione e di ricostruzione muraria delle aperture mediante scuci-cuci sui prospetti sud e ovest; sulla cresta centrale a sud stato inserito un trave in legno trattato nella tasca della muratura e finita a malta lisciata, inoltre stato garantito per tutte le creste lo scorrimento e l’allontanamento delle acque piovane. Sull’imbotte delle due aperture superiori della facciata sud sono stati rinvenuti lacerti di un intonaco a calce finito a frattazzo dipinto di colore bianco e rosso a motivi geometrici in compromesso stato di conservazione e al momento stato protetto dagli agenti atmosferici in attesa di successivo intervento. Terminati i lavori nella Corte Nuova si proseguito con la rimozione del materiale di crollo sull’estradosso della volta che ha portato in luce un setto centrale con profilo ad arco e con appoggio sulle reni della volta, diversi lacerti di intonaco parzialmente conservati e un pavimento in battuto di calce conservato nella sua quasi totalità. La situazione rinvenuta risultata differente da quanto presupposto in fase di progetto dove, supponendo che il pavimento fosse completamente degradato, si era esclusa la possibilità di un suo rinvenimento. E’ stato quindi eseguito un sopralluogo con i funzionari della Soprintendenza per i Beni culturali – Ufficio beni architettonici arch. Cecilia Betti e Ufficio beni archeologici dott.ssa Nicoletta Pisu in occasione del quale è stato concordato di eseguire uno scavo stratigrafico di alcuni settori della pavimentazione per verificare la situazione dell’estradosso della volta e valutare la posa dei tiranti in acciaio previsti in progetto per realizzare la cerchiatura della volta. La situazione rinvenuta ha permesso di proseguire con la posa delle barre come previsto nel progetto. Al termine delle operazioni le porzioni di pavimentazione in battuto tagliate e recuperabili sono state riposizionate integrando con sabbia le parti mancanti e sopra al piano pavimentale è stato posato un telo pacciamante e un massetto fibro-rinforzato, ricoperto da una guaina microforata e un tavolato in larice. Si tratta di elementi rimovibili comunque coerenti all’intervento, che nella fase transitoria attuale di decisione sul proseguimento dei lavori al castello, sono in grado di limitare i danni provocati dall’acqua piovana e dalla neve sul piano pavimentale rinvenuto e aiutare a salaguardare l’integrità strutturale della volta in muratura anche nella parte intradossale.
Concluso l’intervento di consolidamento dell’estradosso della volta si è proseguito nella rimozione del materiale di crollo all’interno dell’ambiente voltato che ha portato in luce due brani murari a chiusura dell’ambiente voltato, con la presenza di una soglia in pietra, un’apertura in rottura dell’ambiente a volta a crociera antecedente al voltone realizzata con architrave in mattoni di tipo artigianale, alcuni resti di pavimento in battuto smossi e un rocco della colonna centrale che è stato successivamente riposizionato. La muratura di divisione tra ambiente voltato e ambiente antistante è risultata molto compromessa, è stata quindi consolidata e reintegrata.
Le lavorazioni sono poi proseguite con il montaggio dei ponteggi a servizio delle arcate su colonna che chiudono l’ambiente con volta a crociera antistante il grande spazio voltato e con i successivi interventi sulla muratura. Contemporaneamente sono state riprese le operazioni di rimozione del materiale di crollo nella porzione ovest del grande ambiente voltato, verificando la struttura emergente dal piano pavimentale (un contrappeso in pietra) e scoprendo meglio la struttura di un pozzo. Nel maggio 2015 si è quindi eseguito un sopralluogo con i funzionari della Soprintendenza per i Beni culturali in cui si è concordato lo spostamento del contrappeso per permettere la realizzazione dell’intervento di cerchiatura della volta che, rispetto allo stato di progetto, stato modificato per adeguarsi alla presenza del pozzo. L’area di rilevanza archeologica stata sottoposta a rilievo, documentata fotograficamente e parzialmente chiusa in modo da poter essere indagata archeologicamente in futuro per capire se il piano di frequentazione rinvenuto fosse in fase con la muratura cinquecentesca o meno. Si è proseguito quindi con gli interventi di riquadrature delle aperture verso sud dell’ambiente voltato, con il consolidamento dei peducci, al termine del quale si potuto procedere con le perforazioni sulla muratura sud al fine di concludere l’intervento di cerchiatura della volta. Successivamente si è proseguito con l’intervento di consolidamento della muratura dell’intradosso della volta.
La rimozione del materiale di crollo è proseguita nell’ingresso, portando alla luce il basamento di appoggio dei piedritti in pietra del portale d’ingresso rinvenuti ad inizio cantiere e documentati in alcune fotografie risalenti agli inizi e alla metà del secolo scorso; oltre ai due piedritti stato rinvenuto un concio dell’arco spezzato. Dopo avere verificato con il barone Ferdinando Buffa, proprietario del castello, che presso la sua proprietà a Telve non vi erano elementi del portale del Castello Nuovo e lo stesso presso il cantiere del Comune di Telve si proceduto ad ordinare nuovi pezzi per poter completare la realizzazione e ricollocazione del portale; i nuovi elementi sono stati realizzati secondo le ricostruzioni fatte con le fotografie storiche eseguite dalla Direzione Lavori ma semplificando le finiture.
Durante la rimozione del materiale presente davanti al portale sono state messe in luce la parte inferiore delle spalle dell’arcata interna con porzione della soglia ma anche una muratura che si addossa alla spalla di destra e che riduce di quasi un terzo il passaggio del portale. Si è reso quindi necessario proseguire nello scavo con l’assistenza archeologica per indagare meglio la situazione. L’esecuzione di un sondaggio stratigrafico ha evidenziato come la muratura sia chiaramente posteriore alla spalla del portale cinquecentesco, legata a malta e potrebbe essere la base della muratura che si vede nella fotografia del 1915-1916 con il soldato austriaco. Durante un sopralluogo con la Soprintendenza si convenuto che la situazione rinvenuta necessiti di un approfondimento archeologico rimandato a prossimo intervento. I lavori si sono conclusi con il montaggio del portale lapideo cinquecentesco e il rifacimento della muratura soprastante.
Durante i lavori in data 20 giugno 2014 sono stati eseguiti dal dott. Miani della ProArte s.n.c. n. 5 prelievi: 4 di campioni di malta e 1 sull’intonaco affrescato di colore rosso rinvenuto sull’imbotte delle due aperture superiori della facciata sud per effettuare un analisi della composizione delle malte. Durante il corso dei lavori è stato eseguito l’integrazione del rilievo in funzione dei rinvenimenti emersi con le operazioni di scavo. Si è proceduto nella realizzazione di nuovi fotopiani da utilizzare sia per la quantificazione delle lavorazioni ai fini della contabilità dell’opera sia per l’aggiornamento dell’analisi morfologico-stratigrafica condotta in fase di progettazione.
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La storia dell’Archivio
Il fondo, in parte conservato presso l’Archivio di Stato di Trento e in parte disperso ma oggetto di trascrizioni ottocentesche, contiene atti relativi a signori di Telve, famiglia Buffa e giurisdizione di Castellalto. Fortunatamente, sul finire dell’Ottocento il francescano Maurizio Morizzo trascrisse e regestò copie dei documenti originali in tre volumi ora conservati presso la Biblioteca Comunale di Trento; altri regesti furono curati da Marco, fratello di Maurizio.
Il fondo si distingue per la sua imponenza, conservando migliaia di pergamene, buste e volumi di documenti, databili dal XIII al XIX secolo.
Alcune tipologie di documenti
Le principali tipologie documentarie relative alla gestione dei patrimonio dei Telve e dei Castellalto in età medievale sono:
Bibliografia
A. CASETTI 1961, Guida storico-archivistica del Trentino, Trento: TEMI.
A. CARLINI, M. SALTORI 2005, Sulle rive del Brenta: musica e cultura attorno alla famiglia Buffa di Castellalto (sec. XVI-XVIII), Trento: Provincia autonoma di Trento. Soprintendenza per i beni librari e archivistici.
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